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La Famiglia e la Vita umana nel messaggio di Ghiaie

 

 


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Il giudizio morale


Nella Bibbia leggiamo che il Signore dice: «Sono io che do la morte e faccio vivere» (Dt 32,26).

L'uomo vuole impadronirsi della morte, procurandola in anticipo, ponendo fine alla propria o altrui vita.

Ciò che potrebbe apparire umano, visto in profondità, è assurdo e disumano. L'eutanasia che avanza soprattutto nella società del benessere, è uno dei frutti avvelenati della mentalità materialistica ed efficientistica, che considera troppo oneroso il numero crescente delle persone anziane e malate, portatrici di una vita che non ha più valore.

Giovanni Paolo II dichiara: «In conformità con il magistero dei miei predecessori e in comunione con i vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l'eutanasia è una grave violazione della legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla parola di Dio scritta, è trasmessa dalla tradizione della Chiesa e insegnata dal magistero ordinario e universale. Una tale pratica comporta, a seconda delle circostanze, la malizia propria del suicidio e dell'omicidio» (Evangelium Vitae, n.65).

L'eutanasia è una falsa pietà, una sua perversione. La vera compassione rende solidale una persona col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si sopporta la sofferenza. E tanto più perversa è l'eutanasia quando viene attuata dai parenti o dai medici che dovrebbero curare il malato anche nelle condizioni più penose. L'eutanasia è tanto più grave quando diventa un omicidio che gli altri praticano su una persona che non l'ha chiesta.

Quando medici o legislatori si attribuiscono il diritto, il potere di decidere chi debba vivere e morire, si raggiunge il massimo dell'arbitrio e dell'ingiustizia.

Così la vita del più debole è messa nelle mani del più forte, nella società si perde il senso della giustizia, fondamento di ogni rapporto tra le persone. L'eutanasia ha anche la malizia del suicidio, che è un atto gravemente immorale, perché è il rifiuto dell'amore verso se stessi e la rinuncia ai doveri di giustizia e di carità verso la famiglia e la società e perciò è proibito anche il cosiddetto suicidio assistito.

La domanda di chi soffre e si trova di fronte alla morte è soprattutto una domanda di compagnia, di solidarietà e di sostegno nella prova. E' richiesta di aiuto a sperare quando tutte le speranze umane vengono meno.

Altra cosa, invece, è rinunciare all'accanimento terapeutico, ossia a interventi medici non più adeguati alla situazione del malato, quando la morte appare ormai imminente e i trattamenti medici sono troppo gravosi per il malato e la famiglia.

A riguardo delle cure palliative, fatte per alleviare la sofferenza nella fase finale della malattia, sorge il problema se ciò possa abbreviare la vita del malato. Se uno rifiuta gli antidolorifici per unirsi alle sofferenze di Cristo è degno di lode. Tuttavia tale comportamento eroico non può essere considerato doveroso per tutti. Questi trattamenti sono leciti perché con essi non si vuole procurare la morte del malato, ma solo togliere o diminuire la sua sofferenza. Anzi deve essere in grado di soddisfare ai suoi doveri morali e familiari e di prepararsi all'incontro con Dio.