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La Famiglia e la Vita umana nel messaggio di Ghiaie

 

 


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Il cavallo che ritorna in chiesa

immagine della conversione


La conversione è un radicale riorientamento della vita, una rottura con il peccato, un'avversione per il male commesso. Nello stesso tempo essa comporta la risoluzione di cambiare vita con la speranza della misericordia di Dio e la fiducia del suo aiuto.

Gesù ha magistralmente descritto il dinamismo della conversione nella parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-24). In essa, al fascino di una libertà illusoria seguono in una drammatica sequenza, la miseria estrema in cui il figlio viene a trovarsi, la riflessione sui beni perduti, il pentimento e la decisione del ritorno. L'abbraccio e la gioia del padre, l'abito bello, l'anello e il banchetto di festa sono i simboli della vita nuova.


Pellegrini

I pellegrini si recano al luogo delle apparizioni,
particolarmente la seconda domenica,
il 12 e il 13 di ogni mese.


Parlando della conversione, è opportuno ricollegarci al discorso della sessualità nella visione cristiana, per dire che oggi il cristiano è chiamato in particolare ad una scelta radicale tra castità ed edonismo. Egli sa che la potenza della grazia di Dio si manifesta nella debolezza della creatura e ne fanno esperienza tutti coloro che la chiedono con insistenza.

Il cristiano sa che deve fare tutto ciò che è in suo potere, in primo luogo rifiutare tutto ciò che induce al male, per ottenere l'aiuto di Dio. Gesù dice: «Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo» (Mt 5, 29).

Ogni istinto è chiamato da stimoli visivi auditivi e immaginativi che suscitano impulsi ad agire. Creando un'eccitazione nell'ipotalamo, essi crescono in proporzione al numero degli stimoli fino a diventare irresistibili. Il potere decisionale può dominare i sentimenti e il comportamento, non tanto reprimendo gli impulsi quando sono diventati forti o irresistibili, quanto tenendoli ad un livello governabile.

Pellegrini

Si ottiene ciò, come insegna la psicologia, con la tattica destimolante, rimuovendo le stimolazioni, con la tattica traspositiva, sviluppando interessi alternativi e con la tattica sublimante, incanalando le energie verso i tipi superiori di amore e di azione.

Non stuzzicare la tigre che dorme.
Questo consiglio di elementare buon senso non è osservato da tutti quegli uomini e donne che prima accondiscendono a stimolare un amore nascente e poi quando la tigre si è svegliata ed eccitata, vorrebbero che ritornasse a dormire e non sbranasse la famiglia (cfr. Giovanni Martinetti, o.c., pp. 281-283). Quanto sia arduo, ma non impossibile, tornare a Dio lo vediamo anche nella vita di certi santi, come Sant'Agostino e San Girolamo.

Quest'ultimo scrisse: «Caddi sul lubrico sentiero della giovinezza e giacqui nel fangoso sepolcro dei delitti, insudiciato di tutte le lordure». San Girolamo parlava del tempo in cui, ancora non battezzato, era a Roma per proseguire gli studi. Fattosi monaco e ritiratosi in una grotta del deserto di Calcide (Siria) tra la preghiera, i digiuni e la penitenza asperrima, dovrà continuare per anni il combattimento spirituale per mantenersi casto. Più tardi, dirà: «Quante volte, in quella vasta solitudine riarsa, mi parve di ritrovarmi fra le delizie di Roma. Stavo solo e l'anima mia era piena d'amarezza...

Non parlo di cibo e di bevande: in questo deserto anche i monaci ammalati osano appena bere acqua fresca e l'assaggiare un cibo cotto è considerato atto d'intemperanza... ebbene io, che per timore dell'inferno mi ero condannato ad una simile prigione, dove compagni m'eran soltanto gli scorpioni e le bestie feroci, spesso volavo con l'immaginazione in mezzo alle danze delle giovinette romane. Il mio volto era sì emaciato per i lunghi digiuni, le mie membra erano sì rattrappite, ma la mia mente ardeva in un ribollimento di passioni impure. E così privo di soccorso, mi gettavo ai piedi di Gesù, li bagnavo delle mie lacrime, li asciugavo coi miei capelli e cercavo di vincere la mia carne ribelle con settimane di digiuni. Non arrossisco di confessare le mie miserie...

Mi ricordo di aver passato spesso il giorno e la notte a mandar gemiti e grida e a percuotermi il petto, fino a che la tranquillità si fosse fatta nel mio cuore, per ordine di Dio che comanda alle tempeste... Dio mi è testimone: dopo essermi sciolto in lacrime, dopo aver tenuto a lungo lo sguardo fisso in cielo, mi sembrava talvolta di essere trasportato fra i cori degli angeli ed esultando di allegrezza e fiducia cantavo al Signore: «Noi corriamo dietro a te, attratti dall'olezzo dei tuoi profumi» (v. Sergio Lorit, «Perdonami Signore, perché sono dalmata», Città Nuova Editrice, Roma 1961, pp. 36-37).